IL LOCKDOWN DA CORONAVIRUS FARA’ SICURAMENTE UNA VITTIMA IMPORTANTE IL CUI IDENTIKIT POSSIAMO GIÀ IMMAGINARE: DONNA, DEL SUD O IMMIGRATA, SOTTO I 35 ANNI, CON FIGLI O GENITORI DA CURARE, LAVORATRICE IN NERO O A TEMPO DETERMINATO. NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE ITALIANO.
LA CRISI ECONOMICA CHE STIAMO PER AFFRONTARE PESERA’ DAL PUNTO DI VISTA OCCUPAZIONALE SOPRATTUTTO SULLE DONNE.
Se, come pare, COVID-19 ha un impatto infettivo più letale sugli uomini rispetto alle donne, dal punto di vista delle conseguenze economiche e occupazionali sembra proprio che potrebbero rovesciarsi i ruoli.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) in un report dal titolo “Donne al centro della battaglia contro COVID-19” ha cominciato a fare il conto dei danni che le inevitabili misure di contenimento stanno provocando all’economia con particolare riferimento all’occupazione femminile. In sintesi, le donne sono potenzialmente più esposte a difficoltà materiali associate alla ricaduta economica di COVID-19. A brevissimo termine, è probabile che alcuni settori dell’economia saranno più colpiti di altri: le attività che hanno necessità di viaggi e di interazione fisica con i clienti sono già state colpite duramente. Ciò include i viaggi aerei, il turismo, i servizi di alloggio (ad es. Hotel) e le attività di servizi di ristorazione (ad es. Caffè, ristoranti e catering) e le attività al dettaglio in cui le donne hanno una presenza preponderante: commercio e turismo occupano l’84,7 per cento delle donne più giovani e l’83,4 per cento di quelle dai 35 anni in su. Tra gli uomini tale percentuale scende rispettivamente al 60 per cento e al 59,3 per cento. Alcune industrie come quelle dell’abbigliamento, rischiano di subire danni sia dal lato dell’offerta (ad esempio le misure di confinamento che costringono alla chiusura delle fabbriche) sia dal lato della domanda (ad esempio la chiusura forzata dei negozi al dettaglio che porta a un calo degli ordini). Le donne sono fortemente sovra rappresentate in questo settore poiché costituiscono circa i tre quarti degli occupati dell’industria dell’abbigliamento in tutto il mondo. In generale le donne sono più vulnerabili degli uomini a qualsiasi perdita di reddito causata dalle crisi poiché i livelli di reddito delle donne sono, in media, inferiori a quelli degli uomini e i loro tassi di povertà sono più alti. Spesso detengono meno ricchezza degli uomini per ragioni storiche. Le donne poi di solito incontrano più difficoltà a trovare un impiego alternativo e flussi di reddito dopo il licenziamento a causa del loro maggiore impegno nella cura dei familiari, bambini o anziani.
I genitori single, molti dei quali sono donne, probabilmente si troveranno in una posizione vulnerabile. Fare affidamento su un reddito unico significa che la perdita del posto di lavoro può essere esiziale per le famiglie monoparentali, specialmente quando il sostegno al reddito da parte delle istituzioni è debole o lento a reagire.
Le donne migranti rappresentano poi un gruppo particolarmente vulnerabile. In tutto il mondo, molte donne migranti lavorano come domestiche o come assistenti informali. Queste donne si trovano ad affrontare una situazione lavorativa sempre più precaria e avranno anche maggiori preoccupazioni per le loro famiglie lasciate nei paesi di origine.
Ultimo ma non ultimo non possiamo dimenticare la penalizzazione economica che i contratti part time hanno sull’universo professionale femminile cui si aggiunge la diffusa difficoltà di base a poter usufruire di contratti di questo tipo. Le enormi differenze tra il ricorso al tempo determinato in Italia, dove si va dal 41,6 per cento tra le donne più giovani al Sud, e il 4,7-4,8 per cento tra quelle più anziane al Centro-Nord, rendono già l’idea della grande disuguaglianza che ritroveremo nell’impatto della recessione post-coronavirus.
Insomma proprio niente di nuovo sotto il sole italiano che l’estate incipiente porterà…